venerdì 8 maggio 2015

La condanna degli under 30: perché i giovani italiani producono di più ma sono pagati la metà del resto d'Europa


Lavori di più, produci di più, guadagni di meno. L'handicap? Avere meno di 35 anni. È la “curva anomala” del mercato del lavoro italiano rilevata nell'analisi svolta per il Sole 24 Ore da JobPricing, l'osservatorio che analizza retribuzioni e compensi sul mercato nazionale ed europeo. L'incrocio di dati Eurostat ed Ocse mostra che i dipendenti sotto i 35 anni incassano uno stipendio di ingresso fra i più bassi d'Europa (23.586 euro lordi, 1.312 euro netti su 13 mensilità), oltretutto eroso in quasi la metà del suo valore dalle tasse (42,4%).

Il confronto con l'estero è indicativo: un professionista italiano guadagna la metà esatta di un suo collega svizzero (48.100 euro), 1,5 volte in meno di uno svedese (36.200 euro), circa 1,4 volte in meno di un belga (34.300 euro),
1,2 volte in meno di un danese (29.700 euro) e di un olandese (29.400 euro). Il tutto, nella stessa fascia di 25-34 anni che - in genere – accoglie i primi passi nella vita professionale.

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catti di carriera fin dallo stage. E i 'bonus' degli specializzandi svizzeri valgono più di una borsa di studio italiana Stipendio anagrafico: in Europa il picco a 40 anni. In Italia a 55
Potrebbe confortare la media tedesca, tutto sommato un po' più vicina agli standard italiani (25.200 euro, 1.614 in più). Se non fosse per un particolare che spiega tutta la sequenza: lo stipendio “di ingresso”, nel mercato europeo, è tale perché è destinato a crescere sia in rapporto alla maturità lavorativa sia in proporzione ai risultati ottenuti. In Italia sembra valere solo uno dei due criteri. La maturità. Come spiega Mario Vavassori, presidente di JobPricing, «L'aspetto che ci caratterizza è quello di un mercato del lavoro “seniority driven”, guidato dall'età: più vai avanti con gli anni e più guadagni. Cosa che succede anche all'estero, se non fosse che lì il grosso della crescita si concentra nei primi anni, quando puoi dare di più, mentre qui ci si basa più che altro sulla “somma” degli anni acquisiti. A prescindere da quello che si può fare».
Insomma: la curva delle retribuzioni viaggia a ritmo rallentato, facendo sì che i “picchi di carriera” italiani si raggiungano a 55 anni. Nel resto d'Europa 15 anni prima, sfociando in un divario tra stipendi under 30 che si allarga fino a 10mila-15mila euro. «La curva dei salari è sempre legata all'età, ma nel nostro caso ha un andamento completamente diverso – fa notare Vavassori - In Europa sale rapidamente negli anni più proficui e raggiunge il suo apice a 40 anni. Quella italiana, al contrario, sale molto lentamente fino ai 40 anni e raggiunge il suo apice a 55».
Il problema si rispecchia in maniera quasi identica in un altro tasto dolente per i giovani italiani, il tirocinio. Il rimborso minimo per i mesi di stage, quando c'è, resta tale e quale per tutto il periodo di formazione. Nei paesi del meccanismo duale, dalla Germania all'Olanda, la retribuzione cresce in proporzione al grado di competenze acquisite man mano che l'esperienza procede .
Esattamente come le borse di studio per gli specializzandi di Medicina, statiche in Italia e progressive in Svizzera: nel Canton Ticino la retribuzione dei giovani camici bianchi sale di quasi 40mila euro in sei anni, cifra che da sola quasi raddoppia i 25mila euro annui percepiti dagli specializzandi della Sapienza di Roma nei primi due anni e i 26mila previsti per i successivi quattro. Come evidenzia Vavassori, «l'incremento nelle retribuzioni è sostanziale. Facciamo l'esempio dei tirocini: magari inizi con 500 euro al mese, ma finisci che ne guadagni 2mila. Perché? Perché riconoscono che ci sono dei progressi. E così sul lavoro: magari all'inizio prendi 'poco' poi arrivi al raddoppio dello stipendio nel giro di cinque anni».
A parte la “solita” Svizzera, però, la tassazione sul reddito riportata da JobPricing su un campione di under 30 sembra abbastanza omogenea tra i vari paesi europei. L'Italia si distingue in quarta posizione, ma le distanze sono brevi sia con la Svezia (sotto a noi con il 40,5%) sia, per difetto, con la Germania (sopra con il 45,5%). L'aliquota, però, dice poco da sola: «Vanno considerati almeno due fattori. Prima di tutto i servizi offerti, ben diversi nel confronto tra noi e quei due paesi. E poi, tutto quello che c'è dopo: in Germania ti incentivano a fare famiglia, a prendere casa. Qui non è proprio così».

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